martedì 14 giugno 2011

INTERVISTA AL PROF. DOMENICO GONNELLA. di Conte Mariateresa

IL PROF. DOMENICO GONNELLA, DOCENTE DI ECONOMIA AZIENDALE PRESSO L’ISTITUTO “E. CORBINO” DI CONTURSI TERME, UOMO DI GRANDE ESPERIENZA POLITICA E PROFESSIONALE (CHE NEL SUO QUOTIDIANO LAVORO DI INSEGNAMENTO TRASFERISCE AI SUOI STUDENTI), RISPONDENDO A QUESTE BREVI DOMANDE RIMARCA IL FONDAMENTALE RUOLO DI PILASTRO PORTANTE E MAESTRO DI VITA PER TUTTI NOI, SUOI ALUNNI E PER LA COMUNITA’ SCOLASTICA TUTTA.
VOGLIO RINGRAZIARLO PERSONALMENTE PER AVERMI CONCESSO QUESTA INTERSSANTE INTERVISTA.
di Conte Mariateresa
M: Buongiorno professore!
P: Buongiorno!
M: Si parla tanto di Piano per il Sud e Banca del Mezzogiorno; ci può brevemente illustrare in cosa consistono e quali sono i vantaggi che deriverebbero da entrambi?
P: La Banca del Mezzogiorno dovrebbe essere una banca formata con denaro proveniente dalle Casse di Risparmio e dalle Banche di Credito Cooperativo. Inoltre, dovrebbe essere una “banca di secondo livello”, in quanto dovrebbe finanziare quegli imprenditori del sud che obiettivamente hanno una situazione di svantaggio rispetto a quelli del centro-nord. Quali dovrebbero essere gli effetti? Siccome questa Banca del Mezzogiorno emetterà anche dei titoli di stato con delle “ritenute di vantaggio”, si creerebbe una disparità di trattamento tra chi sottoscrive le obbligazioni o i titoli emessi (a livello di ritenuta) con le altre banche. Questo è un problema che ancora deve essere affrontato: bisognerà, perché questa Banca del Mezzogiorno possa definitivamente decollare, prima o poi, affrontarlo. Non si capisce perché, chi dovesse sottoscrivere i titoli presso la Banca del Mezzogiorno, si dovrà trovare a pagare una ritenuta più bassa rispetto a chi sottoscriverà gli stessi titoli presso altre banche. In definitiva, secondo il Governo, gli effetti prodotti da questa Banca del Mezzogiorno saranno positivi; bisognerà attendere, come spesso accade, per capire se ciò accadrà realmente.
M: Professore, che cos’è il federalismo fiscale e cosa comporterà per i nostri comuni?
P: Secondo quello che annuncia il Governo attuale, si parla dell’applicazione di “costi standard”; cioè, ogni comune dovrebbe incrementare le imposte secondo “l’indice della popolazione” (costituito dagli abitanti e dalla loro composizione anagrafica) per portare a una riduzione delle spese ed a un aumento delle entrate; nel frattempo, lo Stato impone dei limiti alle imposte. Perciò il comune può, per l’anno 2011, solo aumentare la TARSU e ridurre le spese municipali. Federalismo fiscale in autonomia potrebbe voler dire che ognuno (Enti territoriali minori) può mettere delle basi impositive: dall’anno prossimo il federalismo prevede dei tributi che ogni comune (come ho avuto già modo di dire, in base alla popolazione) può aumentare fino ad un certo limite (e per quanto riguarda l’introduzione di nuove imposte, per il momento non c’è ancora nessun decreto attuativo); inoltre, proprio per la poca chiarezza sul federalismo, anche i comuni sono stati costretti, con legge, a prolungare il bilancio fino al 30 di giugno. C’è chi dice che il federalismo avrà effetti positivi, chi negativi (per effetto dell’aumento delle tasse); c’è grande incertezza. Di sicuro c’è che i Comuni dovrebbero attrezzarsi per avere maggiori entrate altrimenti dovranno obbligatoriamente ridurre le spese.
M: Chi pagherà il conto del federalismo?
P: Vediamo prima se c’è un conto da pagare e poi si paga. Non è detto che ci sarà qualcosa da pagare; può darsi che razionalizzando le spese, si riesca a non pagare di più. Paradossalmente, il discorso è che ci si ritroverebbe a dover pagare di più ed avere meno servizi, mentre altri, pur non pagando o pagando di meno, manterrebbero lo stesso livello di servizi. Le amministrazioni comunali devono cominciare a far quadrare i conti, devono vedere nel proprio bilancio quali sono le risorse, se ci sono inadempienze degli amministratori. Non si capisce, ad esempio, perché gli amministratori del Nord hanno bilanci in attivo e quelli del Sud, sistematicamente no. E la questione non riguarda solo grossi Comuni, ma anche piccoli Comuni.
M: Quindi è una questione di spreco delle risorse?
P: Un po’. Più che spreco delle risorse, direi che gli amministratori poco competenti non sanno trovare le entrate utili per il Comune. Per esempio: se si hanno stabili abbandonati che non vengono più utilizzati e che possono essere messi in vendita, facendolo si otterrebbero due effetti positivi:
1) creare investimenti sul territorio;
2) avere un entrata finanziaria che col tempo produrrà interessi.
Ha senso, ancora, per un Comune avere un rudere di un castello abbandonato e stare lì a sperare di ottenere contributi europei con i quali un giorno poter realizzare un investimento per incrementare il turismo? A mio parere è meglio vendere a una società o a un’agenzia turistica, le quali ovviamente saranno ben liete di pagare al Comune un congruo corrispettivo, dal quale il Comune trarrà sicuramente solidi benefici economici. Il rudere gestito da una società esterna, inoltre, potrebbe creare ricchezza e occupazione sul territorio.
M: Il 26 febbraio, il Presidente del Consiglio ha attaccato la scuola pubblica. A suo parere, qual è oggi il ruolo della scuola pubblica e, in particolare, dell’istituto tecnico commerciale nella formazione dei giovani?
P: E’ un tipo di scuola utilissimo. Basti sapere che la domanda di ragionieri sul mercato del lavoro è costantemente maggiore dell’offerta. La scuola pubblica a volte può sembrare poco seria, ma in realtà è sottoutilizzata. Il discorso è un altro: tutti gli studenti devono chiedersi cosa sanno quando escono da questa scuola. Credo che Berlusconi abbia fatto riferimento alle scuole medie ed elementari nelle città del Nord, dove c’è un abbandono degli studenti, che dalle scuole pubbliche vanno verso le scuole private. L’unico “ascensore” sociale che abbiano noi del Sud, invece, è l’istruzione e la scuola. E chiediamoci pure: i ragazzi sono disponibili a fare sacrifici per prepararsi? Oggi, se si va a vedere all’interno di un’aula, solo il 20-25% dei ragazzi è interessato allo studio, la parte restante, purtroppo, no. Ora, se c’è un errore della scuola pubblica, è che non riesce a motivare bene gli studenti; ma consideriamo anche che oggi non ci riesce neppure la famiglia, non ci riesce nessuno!
M: Cosa manca alle scuole del Mezzogiorno d’Italia per essere competitive a livello Europeo?
P: Manca la coscienza dei ragazzi e, forse, a volte, anche degli insegnanti. Negli anni, la scuola è stata come un “parcheggio” per qualcuno che, pur avendo ottenuto il titolo di studio superiore (sia esso la laurea o il diploma), piuttosto che utilizzarlo pienamente si ritrovava a insegnare nella scuola. Inoltre, molte scuole mancano di laboratori idonei; non si può fare una scuola professionale e/o tecnica, senza avere il laboratorio per poter fare un’esperienza tecnica. Non può lo studente trascorrere le ore, che dovrebbero essere dedicate alle esperienze laboratoriali, in classe. La verità è che non abbiamo istituti idonei: mancano i laboratori, ma mancano anche le palestre, manca la continuità, manca l’esercizio dello stage. Ecco: io reputo che la cosa più importante sia che i ragazzi possano e debbano uscire dalla scuola per fare l’esperienza dello stage; eppure se ne fanno sempre troppo pochi o non se ne fanno affatto. Qui al Sud manca l’incontro con il mondo del lavoro; così come la scuola non ha cercato il mondo del lavoro, così il mondo del lavoro non sollecita la scuola. Per tornare al caso specifico dell’istituto tecnico commerciale, l’imprenditore del Sud non ha mai chiarito alla scuola di che tipo di ragioniere avesse bisogno; al contempo, le scuole non hanno mai chiesto all’imprenditore che tipo di ragioniere gli servisse. Questa è una disattenzione generale, ed in particolare, della scuola pubblica.
M: A proposito di stage, lei è impegnato da anni come tutor in progetti di stage aziendali presso Enti pubblici e privati sul territorio locale. Quali i benefici che la scuola e gli studenti traggono da questa esperienza?
P: Sia la scuola che gli studenti ne traggono grossi benefici. Per la prima volta, lo studente si trova ad entrare nel mondo del lavoro a sperimentare il funzionamento concreto della “filiera” del lavoro; quali sono gli orari precisi di entrata e di uscita, quali i compiti da svolgere per portare avanti il proprio lavoro, etc. Negli Enti pubblici, i ragionieri si confrontano con quelle che sono le prime istanze dei cittadini, le loro aspettative rispetto a quello che l’Ente può e deve fornire. Ed è l’impatto con la realtà del mondo del lavoro che fa apprendere cose allo studente, con ricadute inevitabilmente positive anche sul processo d’apprendimento, di cui eminentemente si occupa la scuola, migliorandone sia le conoscenze che il profitto.
M: Professore, la ringrazio!
P: Prego!

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