Intervista al prof. Luigi Sonatore, docente di geografia economica presso l’ITC
“E. Corbino” di Contursi Terme.
1) « Il 12 e il 13 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sui quesiti referendari, due di essi affrontano tematiche molto importanti quali la privatizzazione dell’acqua e l’istallazione di centrali nucleari. Lei cosa ne pensa ?»
«Penso, prima di tutto, che se ne è parlato troppo poco. La nostra è la società dell’immagine, della visibilità televisiva che, se non hai, non esisti nella realtà. Su questi referendum (se si esclude l’ultima settimana) non c’è stata discussione “televisiva” quotidiana, anzi. Il pluralismo delle opinioni è stato la stella polare dell’informazione? Penso proprio di no: e, quindi, questi quesiti referendari semplicemente “non sono esistiti”; nello specifico, penso che l’acqua sia un bene di tutti e inalienabile la sua fruizione, che o è pubblica, o non è. Una politica che non mette al centro del suo operato questo concetto non fa gli interessi della comunità e tradisce, così, la concezione solidaristica della Costituzione Italiana. Ammantare di falso modernismo questa concezione, utilizzando (come fa il D.L. 112 del 25/06/2008) termini come sviluppo economico, semplificazione, competitività, serve solo a sviare e a distrarre dalla centralità della questione, fino ad arrivare al paradosso “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, come recita il comma 1 dell’art.154 del DL 152 del 3/04/2006. Investire capitali per avere un’adeguata remunerazione: fare profitti con l’acqua è etico? “Date da bere agli assetati”: è una delle opere di misericordia corporali; chiediamo al Papa di modernizzarla, aggiungendo come chiusa finale: “solo se vi pagano”!
Per il nucleare, invece, la questione è decisamente più complessa: se è vero che l’acqua è il diritto imprescrittibile, è pur vero che l’energia elettrica ha un suo costo economico e, per la sua diminuzione, le centrali nucleari sembrano essere fondamentali. Approfondirò il ragionamento nella risposta successiva; qui il problema si fa politico: il governo attuale, soprattutto alla luce dei risultati elettorali di Milano, cerca di non far raggiungere il “quorum”, invalidando, così, la consultazione referendaria. È un atteggiamento fondamentalmente incivile e anti democratico: del resto da chi è abituato a difendersi “dal processo” piuttosto che “nel processo” che cosa ci si poteva aspettare?».
2) « Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha affermato che il nucleare è sicuro e che le nuove centrali sono di terza generazione. Secondo Lei, esistono centrali di terza o quarta generazione? Se si, quanto sono sicure?»
« Esistono molti problemi legati all’uso dell’energia nucleare e molte sono le correlazioni con l’economia; dopo Fukushima tutti si sono resi conto della pericolosità delle centrali nucleari: stiamo parlando del Giappone, di un Paese che, com’è noto, possiede le tecnologie più avanzate. Eppure è accaduto quel che è accaduto e, pur considerando la dimensione “straordinaria” dell’evento naturale che ha scatenato l’incidente nucleare, è stato messo in discussione un modello di produzione dell’energia, se è vero che si comincia a parlare dei costi del “decommissioning” delle centrali e lo smaltimento delle scorie. In quest’ottica l’Italia, che non ha le centrali nucleari, è avvantaggiata rispetto a nazioni come la Francia o lo stesso Giappone: nel frattempo il governo Berlusconi ha pensato bene di pianificare la costruzione di almeno otto centrali nucleari. Cosa dire? La domanda di fondo è ancora quella: la fame di energia è tanta, la sua produzione dipende dai paesi esportatori di gas e di petrolio, per ridurre i suoi costi bisogna trovare alternative legate alle risorse rinnovabili sono insufficienti e allora ci si rivolge al nucleare. Un paio di riflessioni si impongono; prima di tutto: quanto uranio c’è nel mondo? Basterà? I suoi costi aumenteranno considerevolmente? E, infine, è corretto continuare con un modello così consumistico? Ma, in fondo, ci conviene essere per forza così “energivori” o, piuttosto, non dovremmo, noi tutti, cominciare a pensare un modello di crescita diverso, più sobrio e parco? ».
3) « Quali rischi corre l’Italia a seguito dell’intervento in Libia? Facendo una previsione, come crede si concluderà la guerra in Libia, ma soprattutto cosa uscirà fuori al termine del conflitto? »
« Non credo che l’Italia corra qualche “rischio” più di quelli che corrono altri paesi coinvolti in questa guerra. Piuttosto c’è da riflettere sulla posizione geografica del nostro paese: una penisola che si protende nel Mediterraneo e che da sempre offre generosamente le sue coste, soprattutto meridionali, a tutta una serie di visitatori: dai mercanti fenici, alle colonie della Magna Grecia, diffuse in tutto il meridione italiano, alle scorribande saracene, etc. Ora siamo destinatari di questi flussi di esseri umani che partono dalle coste africane, soprattutto libiche e tunisine, alla ricerca di un miglioramento delle proprie condizioni di vita. La conclusione di questa guerra è un destino segnato: quando abbiamo una crescita delle società civili, che abbandonano immobilismi pluricentenari, esse innegabilmente tendono a un modello di democrazia “concreta” e, a mio parere, questo non è altro che un passaggio inevitabile nella storia dell’umanità».
4) « Dal punto di vista geopolitico, cos’è cambiato a seguito dell’uccisione di Bin Laden nel Medio oriente e che significato assume la sua morte per gli USA?»
«L’uccisione di Bin Laden non è altro che un bilanciamento della distruzione delle Twin Towers nell’attentato terroristico dell’11 settembre del 2011: nell’equilibrio geopolitico questo ha significato, in sostanza, un riassestamento dei pesi politici, fortemente e pericolosamente sbilanciati a favore del terrorismo islamico. Per gli USA questa morte assume una forte valenza simbolica, al punto che, per evitate di caricare troppo questo aspetto, volutamente gli americani hanno detto di aver gettato in mare il cadavere e non hanno rilasciato nessuna immagine dello stesso, così che il terrorismo di matrice religiosa islamica non potrà nemmeno costruire su qualche immagine o su qualche reliquia una pericolosissima ritualità vendicativa (basti pensare, ad esempio, alle terribili dispute che hanno coinvolto intere comunità di fedeli cattolici anche solo per una ciocca di capelli di un santo). Insomma, Bin Laden ha rappresentato il “nemico perfetto”; per altro, io dico che il Vicino Oriente oggi vive il suo Medioevo, che, per la storia dell’Occidente, è stato un periodo molto lungo. Non vedo scorciatoie per il mondo e la società del Vicino Oriente: sarà un periodo lungo anche per quelle popolazioni, ci saranno guerre anche fratricide, ma ho la profonda convinzione che la strada verso la democrazia sia ormai segnata. Bisognerà attendere qualche generazione».
5) «Cosa si nasconde dietro le guerre degli USA?»
«È molto agevole dare una risposta a questa domanda: l’imperialismo. Non vorrei però sembrare un po’ troppo “retrò”; eppure è chiara la matrice della ricerca di un’egemonia mondiale dietro tutte le avventure militari statunitensi. La corretta lettura dell’interventismo militare americano deve partire dalla classica domanda “cui prodest”? Ebbene, giova al modello di sviluppo americano, nel senso che gli USA, società progredita ed avanzata, non si sono mai posti nessuna domanda sulle conseguenze del loro modo di crescere, improntato al più tumultuoso liberismo capitalistico. Si badi bene; ho detto tumultuoso, ma non disordinato! Gli USA hanno ben chiaro l’ordine mondiale: prima gli USA, poi tutti gli altri. Valga su tutto l’esempio del petrolio: gli USA, con la loro cassaforte petrolifera texana, non riescono a sopperire alle loro esigenze interne e debbono rifornirsi altrove del petrolio necessario a far muovere quelle enormi automobili che consumano tantissimo e non sanno neppure cosa sia una marmitta “catalitica” . L’America Centro-meridionale è stato il loro primo campo di battaglia e tutto il petrolio venezuelano è praticamente in mano statunitense. In tempi più recenti abbiamo visto lo scatenarsi di una vera e propria guerra: parlo del febbraio ’90 e della “Guerra del Golfo” portata avanti da Bush padre e figlio, contro il tentativo d’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq e che ha visto la rovinosa caduta del regime di Saddam Hussein. Basta osservare un po’ più a fondo per capire e chiedersi: chi sono i Bush? Provengono proprio dal Texas e sono, quindi, l’espressione della “lobby” del petrolio: ed è stata proprio questa “lobby” che ha fortemente voluto la guerra, per poter agevolmente controllare la produzione del petrolio del Golfo del Persico, cosa che nei fatti è accaduta. Tutto questo lascia insoluto, però, il problema di fondo: fino a quando gli USA potranno continuare con questo loro modello di sviluppo? Una parziale risposta l’abbiamo avuta con l’elezione di Barack Obama: uno dei suoi primi passi concreti è stata la ricerca di un partner che potesse aiutare l’industria automobilistica statunitense, in particolare la Chrysler, ad uscire dalla crisi. La Fiat di Marchionne è stata scelta per la grande capacità innovativa evidenziata dell’azienda torinese proprio nel settore motoristico: è un chiaro segnale di cambiamento sostanziale che la politica lancia alla società civile. Se si riuscirà a cogliere questo segnale sarà un bene per gli USA e per tutto l’Occidente. Le guerre non sono mai state la soluzione dei problemi e Obama credo questo l’abbia ben chiaro nel suo disegno politico: riusciranno i cittadini statunitensi a recepire questo segnale? “En attendant Godot”…».
6) «Da quasi un anno, Lei partecipa come redattore con i suoi studenti al progetto “repubblica@scuola” e anche al “quotidiano in classe” con il Corriere della Sera e il Sole 24 ore (progetti che avvicinano gli studenti alla realtà giornalistica). Quali vantaggi ne traggono gli studenti e quali vantaggi ne trae l’Istituto?»
«Anche qui è facile la risposta. Ribalterei il quesito però, operando con quella tecnica che è tipica delle dimostrazioni dei teoremi di geometria analitica: quali svantaggi potrebbe avere uno studente che si volesse impegnare nell’attività di scrivere? Ecco, la risposta è semplicissima: io non vedo nessuno svantaggio, tutt’altro! Per poter scrivere bisogna, prima di tutto, sapere di cosa si scrive. Quindi documentarsi, quindi leggere. Stimolare alla lettura è uno degli obiettivi principali di questi progetti che vedono il coinvolgimento della carta stampata. È purtroppo anche vero che la lettura è sempre di più “digitalizzata” e l’ultima frontiera sono gli “e-book”, come pure l’ “i-book” e il “tablet”; a questa innovazione, va sottolineato, si uniformano anche i quotidiani, che hanno anch’essi la loro edizione elettronica. Pur tuttavia, sfogliare una pagina stampata è un gesto che richiede un impegno maggiore e, conseguentemente, un’attenzione e una concentrazione più profonde di quelle che servono davanti a un monitor o su un “tablet”. Pensiamo all’atto della scrittura: con la videoscrittura si sono di molto elevate le possibilità creative e io sono il primo ad essere consapevole di questo; eppure il gesto di scrivere con la penna su un foglio di carta reputo sia insostituibile. Penso ad un manoscritto di un grande poeta e/o scrittore del passato e a quante cancellature, ripensamenti ci possano essere dietro la stesura definitiva di un capolavoro; e penso, ancora, a quante cose in più si potrebbero capire, solo osservandone il modo di procedere nella scrittura. Nei secoli a venire, tutto questo non potrà più esserci: la videoscrittura ha eliminato questa possibile fonte di comprensione. Per capirci con un esempio, non avremo più la “brutta” e la “bella” copia: alla fine saremo sommersi da “belle” copie, ma non sapremo mai nulla del processo creativo. Ecco, questo un po’ mi spaventa. Ma io non sono un “nativo digitale” e vivo ancora con questo atteggiamento di sacrale rispetto per la carta. Spero che i bambini di oggi, “nativi digitali”, sapranno, nel loro futuro di adulti, trovare una risposta al problema.
7) «Professore, Lei insegna sia al biennio che al triennio dell’istituto tecnico commerciale. Quale messaggio vuole inviare ai suoi studenti che quest’anno affronteranno l’esame di maturità?»
«Non ho grandi messaggi da inviare: mi limito al classico “in bocca al lupo”, sicuro che la bontà dell’impegno profuso da ciascuno otterrà alla fine il giusto risultato: si sa che “chi lavora aspetta premio”; piuttosto colgo l’occasione per salutare tutti i miei alunni, quelli di ieri e quelli di oggi: il tempo passato con loro è sempre stato un tempo passato a migliorare e, fatto più rilevante per me, a migliorarsi. C’e sempre da imparare nella vita! Ma, prima dell’insegnare, viene lo stare assieme per svariate ore al giorno, per tempi lunghissimi: due, tre, cinque anni. E’ allora imprescindibile stabilire rapporti umani corretti: diventa difficile aspettarsi attenzione da chi umanamente non ti rispetta e non ti considera, prima di tutto come essere umano e, poi, come insegnante. Ecco, questo è sempre stato il mio “credo”: prima di tutto rispettare “l’umanità” di ognuno, sapere di avere a che fare con un individuo singolo, con tutto ciò che questo significa. Ed è questo che ho sempre prioritariamente insegnato: il rispetto reciproco. Da questa base si può poi partire per la grande avventura dello studio e della crescita umana e culturale. Piuttosto debbo dire che questi ragazzi che si preparano all’esame fanno parte di uno sparuto drappello di pochi eletti che, da qui a tre anni, non dovranno più misurarsi con la Geografia Economica: la mia disciplina, infatti, è stata cancellata dai programmi ministeriali e, seppure i ragazzi del primo anno di quello che è oggi l’Istituto Tecnico Commerciale hanno avuto la ventura di avermi come insegnante per la prima volta quest’anno, non ci sarà più per loro, ragazzi del quinto anno dell’esame di Stato dell’A.S. 2014/2015, la possibilità di misurarsi con questioni come quelle che Mariateresa Conte, con le sue acute domande, ha voluto sottoporre all’attenzione di tutti. Io penso che sia stata tolta una grande opportunità di crescita a tutti i giovani, togliendogli la quotidiana discussione con il docente di Geografia Economica sulle problematiche che coinvolgono il mondo intero; il risultato è che avremo dei cittadini meno consapevoli di ciò che gli accade intorno, più disposti ad accettare senza contraddittorio ciò che gli verrà imposto dall’alto, in un rapporto di sudditanza nei confronti del potere: insomma, più “sudditi” e meno “cittadini”. E’ questo che vuole la riforma Gelmini: ma, vi invito a riflettere, è questo che volete anche voi?
In conclusione, un consiglio di lettura (anzi due) per capire meglio il mio ultimo ragionamento: 1) George Orwell, La fattoria degli animali; 2) George Orwell, 1984. Grazie dell’attenzione a tutti voi e grazie a te, Mariateresa, per la grande sensibilità che hai sempre dimostrato di avere nei confronti delle cose che accadono intorno a te e la grande pazienza che hai messo in tutto ciò che hai fatto: sono convinto che la perseveranza ti condurrà ai risultati che auspichi e che meriti. Per parte mia ti faccio uno speciale augurio per il tuo esame e per tutte le tue iniziative future, siano esse di studio o di lavoro. Ad majora!».